martedì 28 ottobre 2014

Il femminicidio per gli italiani: tutta colpa di razza e cultura straniere.

E' domenica sera quando si registra l'ennesima violenza nei confronti di una donna. Questa volta si parla della mia città, Catania, e di una ragazza prossima alla mia età, Veronica, 30 anni, uccisa dall'ex fidanzato nella sua macchina.
Dire che fatti del genere generano orrore, rabbia e paura, è una cosa scontata. Sarei l'ennesima persona a gridare contro l'ennesimo femminicidio, contro la mancanza delle istituzioni, di leggi adeguate, di mancati finanziamenti verso centri preposti a che questo non accada.
Quello di cui voglio parlare, infatti, non è tanto il fatto (purtroppo) compiuto, quanto le origini dello stesso.

Perché dire che Veronica è stata uccisa da un senegalese non aiuta.
Perché dire che tante ragazze sbagliano scegliendo di stare con ragazzi di colore non aiuta.
Perché dire che questa violenza ce la siamo cercata, non ascoltando lo #stopimmigrazione, l'emergenza ebola, e non rimandando i barconi indietro, non aiuta.
Perché dire che "moglie e buoi dei paesi tuoi" è meglio, non aiuta.























Tutto questo non aiuta perché sposta l'attenzione al problema.
Il problema per cui una donna ha la probabilità di morire non solo per tumori, incidenti, malattie, ma anche per mano del proprio partner o ex. E ciò a prescindere da pelle, razza o cultura.
E' degno di rilievo il progetto della Casa delle donne di Bologna, stopfemminicidio.it: "Impara a conoscere il fenomeno per poterlo combattere".
Forse dobbiamo ricordarci che i casi di femminicidio sono 1036.
Che su 1036 casi, 774 hanno avuto come autore un uomo di nazionalità italiana.
E che, quindi, il 75% delle donne uccise ha avuto un assassino italiano.
Ma questa è una notizia che ormai ci aspettiamo e che, per tal motivo, ci lascia indifferenti, mentre ascoltiamo il tg a tavola, di fronte ad un bel piatto di pasta.


Vi siete mai chiesti, voi italiani di qualunque genere, cosa fate personalmente, nel vostro quotidiano, perché questo non accada?
Vi siete mai chiesti cosa pensate delle donne?
Troppo emancipate economicamente? Troppo emancipate sessualmente?

Perché usare Facebook per fare i social-moralisti, postando frasi strappalacrime in bacheca, è alquanto inutile se poi vi fate due risate con stereotipi del genere:



Come è alquanto inutile, oltre che patetico, cavalcare l'onda della popolarità di un fatto, creando un proprio video su Facebook dove ci si sistema la chioma e si implora di essere condivisi.
"Per Veronica, perché nel 2014 non possono esistere queste cose". Ma solo nel 2014.




E' vero, in fondo, è soltanto tutta colpa di un negro.




venerdì 24 ottobre 2014

I giovani d'oggi e il precariato emotivo: è davvero tutta colpa della crisi?

Se il futuro dei giovani d'oggi è incerto, una cosa può esser detta: i giovani non amano più.
Almeno, non liberamente.

La questione non si riduce alla ragione, seppur valida, per cui a maggiore condivisione telematica sta corrispondendo una minore compassione umana. Se è vero che la facilità di acquisire maggiori informazioni sugli altri ci ha reso diametralmente più indifferenti agli stessi, è vero anche che si è persa l'empatia nei confronti delle persone che ti trovi accanto da tempo, e non solo verso quelle dall'altra parte dello schermo.


E' tutta colpa, allora, del modus comunicandi della nostra era? Io non credo.
Più del pettegolezzo di Facebook, del cinguettio di Twitter, dell'egocentrismo di Instagram, una cosa sta profondamente cambiando i giovani nei loro rapporti sociali: la disoccupazione.
Ci hanno insegnato che il lavoro nobilita l'uomo e che compiere il lavoro che si ama è la migliore approssimazione di felicità sulla terra.
Ma cosa succede quando manca? Può il lavoro definire tutto ciò chi siamo?

Una recente indagine del sito "It's just a lunch", riportata dall'Huffington Post, mostra che se il 75% delle donne intervistate probabilmente non uscirebbe con un uomo che non lavora, la maggior parte degli uomini avrebbe difficoltà ad intraprendere una relazione seria in mancanza di una propria stabilità economica.
La donna vorrebbe accanto un uomo che sappia mantenerla e dimostrare impegno verso qualcosa, l'uomo non potrebbe mostrarsi vulnerabile di fronte ad una situazione di bisogno.
Lo spot dell'ultimo profumo col famoso attore di turno ci dice "Rimani concentrato. Sii uomo. Un uomo di successo. L'uomo di oggi."
Non costituisce tutto ciò un grande stereotipo? Si. Ma è reale.


E' antica quanto i dinosauri la creanza per cui un uomo non è abbastanza virile o forte se non ha un lavoro, se non lo ha di successo o se non è capace di prendersi cura economicamente della famiglia.
Quanto questo può influire, in termini di ansie, paure e responsabilità per un uomo disoccupato o precario?
Non è una esagerazione parlare di precariato emotivo. Alcuni psicoanalisti la chiamano addirittura anoressia sentimentale.
Il tempo di crisi diventa una ragione accettabile di egoismo ed individualismo, per cui se non si è "felici" lavoratori, non si può essere impegnati sentimentalmente. Insomma, l'uno esclude l'altro.  
Ecco che essere single diventa una comodità, una condizione di convenienza contro le troppe aspettative del compagno/a. Come se un lavoro non sia fatto delle stesse capacità di team building, di flessibilità costruttiva, di dialogo ed ascolto, che dovrebbero esistere all'interno di una coppia.
Come se spostarsi da un Paese all'altro porti a cambiamenti drastici di valori e sentimenti. Solitamente ciò che cambia è solo la gabbia, respirando lo stesso conformismo sotto lo stesso cielo.
Insomma, mantenere una relazione a lungo termine, potrebbe rivelarsi un impegno troppo grande, a dispetto degli ipotetici trasferimenti, traslochi, stage non retribuiti, programmi Erasmus Plus, scambi internazionali.
Insomma giovani, è davvero tutta colpa della crisi?


Ne parla bene Alessia Bottone, con una laurea, un blog, tanti stage sulle spalle, nel suo libro "Amore ai tempi dello stage. Manuale di sopravvivenza per coppie di precari", che spiega come la figura pericolosa dell'amante sia stata sostituita da quella della "Crisi".
"E' la crisi il terzo nella coppia, l'elemento che decide se è il caso o meno di continuare la storia." 

 Anche il palermitano Walter Giannò, nel suo libro "Amore precario", evidenzia in maniera tragicomica le spaventose dinamiche del precariato in cui si imbattono  i giovani d’oggi, nell’impossibilità di coltivare serenamente un futuro in una società arrugginita, malata.


Forse il detto "due cuori e una capanna" è eccessivo, ma è diventato così patetico/utopico credere nell'esistenza di persone che, nonostante le difficoltà, riescano a sorriderti gridando "Buongiorno principessa"?
Perchè se la vita è precaria non è detto che debbano esserlo anche le relazioni.


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